Le decisioni dipendono quasi sempre dalle reazioni dei due estremi,
il passivo e l'attivo.
Se da ragazzo non fosse caduto dalla bici di un amico mentre seguiva
un gruppo di marciatori che si stavano allenando per una competizione,
probabilmente in seguito si sarebbe dedicato alla fotografia, l'hobby
che più lo attraeva; invece cominciò a marciare, spinto
dall'imitazione per quegli atleti in cui si era imbattuto.
Mosso dalla necessità di esprimere la sua creatività,
la espresse al meglio attraverso la marcia atletica. Iniziò così
una carriera internazionale di marciatore che lo vide protagonista dal
1908 al 1939, alternando la vocazione per quello sport di fatica all'obbligo
della vita, con il lavoro di tornitore prima, e di assicuratore poi.
Fu uno dei principali atleti di inizio '900, tanto che la stampa e gli
addetti ai lavori identificarono in Binda, Girardengo, Bosisio e Pavesi
i migliori rappresentanti dello sport italiano nel mondo. La gara che
meglio esprimeva le sue qualità pedestri era la cento chilometri
organizzata dalla "Gazzetta dello Sport": ne vinse sei, ottenendo
anche nel 1924 la miglior prestazione mondiale della specialità.
Protagonista in Italia, dove vinse vari campionati nazionali, si distinse
anche all'estero in gare internazionali. Divenne popolare in Inghilterra,
vincendo classicissime come la Manchester-Liverpool, la 20 miglia di
Londra a Stanford Bridge, la London-Brighton, ed altre classiche minori.
Il suo successo fu tale che alle stazioni delle varie città trovò
ad aspettarlo gruppi di connazionali emigranti che lo vollero accogliere
ed ospitare, raffigurando in lui l'orgoglio sportivo degli italiani
all'estero.
Nel 1927, all'Arena di Milano, stabilì il record mondiale sulla
distanza dei 20 chilometri. Con le Olimpiadi non fu fortunato, anche
a causa delle brevi distanze di gara: partecipò ad Anversa nel
'20 e a Parigi nel '24, arrivando "soltanto" quarto nella
10 km. di Parigi. Un'impresa che accrebbe la sua celebrità fu
una performance del 1928. Non potendo partecipare alla Olimpiade di
Amsterdam, dato che la marcia non fu ammessa ai Giochi Olimpici, compì
il tragitto Milano-Roma a piedi in soli sei giorni per consegnare un
dispaccio dei lavoratori milanesi a Mussolini in occasione del 1°
Maggio.
Incapace di sottrarsi alle sfide del tempo l'avversario più ostico
della sua lunga carriera il 30 giugno del 1946 accettò a 58 anni
di affrontare una gara dedicata al suo nome, e ne morì, concludendo
la sua vita così come l'aveva vissuta, marciando. Non amava la
vita comoda, non priva di sacrifici, e lasciò un segno indelebile
nel dna della storia dell'atletica leggera.
Oggi in sua memoria rimane il centro sportivo dedicato al suo nome,
inaugurato a Milano nel 1963. All'interno del campo una statua bronzea
raffigura l'archetipo del marciatore, immortalato nel gesto atletico;
la donarono i milanesi a ricordo del suo spirito sportivo, mai disposto
alla rinuncia.
prof. Aldo Capanni
A.S.A.I.
- Archivio Storico Atletica Italiana Bruno Bonomelli